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L’istà ‘d San Martin a dura tre di e un cicinin

L'istà-San-Martin


L’istà ‘d San Martin
a dura tre di e un cicinin

 

Letterale: L’estate di San Martino (11 novembre) dura tre giorni e un pochino

La storia di San Martino

La neve era di già in terra e il cavallo, vi stampava in doppia fila le sue orme, mentre il cavaliere si stringeva nel suo mantello, che in quel momento, con quel gran freddo, non avrebbe barattato con la porpora dell’imperatore. Il cavaliere era Martino, e camminava per tornarsene alla sua casa, distante ancora poco meno di quattro giorni. Avvolto fino agli occhi in quel suo mantello, pensava alla sua casa, al suo tiepido letto, quand’ecco davanti a lui un povero vecchio, talmente povero che con quel freddo, fra quella neve, non aveva uno straccio che gli coprisse le spalle. San Martino (non era ancora santo): tira la briglia al cavallo; si leva il mantello, lo piega in due, agguanta la spada, la pianta nel mezzo e di un mantello ne fa due.

Nel momento stesso che il soldato porgeva al povero la metà del suo mantello, tutta la neve che era in terra scomparve, la terra si asciugò, l’aria si fece calda, e gli uccelli si misero a cantare: insomma una vera estate in pieno novembre. Martino credeva di sognare, e quando, la sera, fu all’albergo, credette sicuramente di aver sognato. Infatti, appena si trovò col suo cavallo al coperto (non un momento prima e non un momento dopo, proprio come se il tempo avesse aspettato per lui), ecco che ricominciò a nevicare, e la mattina dopo il mondo era bianco.

Coperto come poteva in quel mezzo mantello, Martino si rimette in viaggio. Ed ecco che incontra un altro povero che non aveva per coprirsi altro che le mani. E Martino? Martino, questa volta, non stette a cavar la spada: meglio che stia bene uno piuttosto che soffrire in due, e dà al poveretto tutto il resto del suo mantello, tenendosi per sé tutto il freddo… Il freddo? Di nuovo tutta la neve che era in terra scomparve, la terra si asciugò, l’aria si fece calda e gli uccelli si misero a cantare.

La mattina del terzo giorno (il mondo era di nuovo imbiancato), accadde quel che era accaduto la mattina prima e quell’altra ancora: il solito povero senza nulla per coprirsi dal freddo, la solita carità di Martino (che, non avendo più mantello, si privò della sottoveste) e il solito miracolo: un tempo di piena estate fino a che un crine del cavallo si trovò allo scoperto: quindi, al solito, neve.

Vuol dire che la quarta mattina Martino fece più presto a vestirsi… Era l’ultima volta che si vestiva all’albergo; mezza giornata soltanto lo separava ormai da casa, e si può credere con che gusto, mentre si allacciava le armi, egli pensasse alla sua casa, al suo fuoco, alla sua tavola, al suo tiepido letto: solo una camicia, sotto quelle gelide armi, lo difendeva dall’aria – e la neve fioccava. S’era appena messo in viaggio, che un braccio nudo si tese tremolante verso di lui – e Martino, senz’esitare, diede l’ultimo avanzo dei suoi vestiti… per la quarta volta l’inverno cedette improvvisamente all’estate. Ma per non più che mezza giornata: il tempo che ci volle a Martino per giungere a casa.

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