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Bra ricorda Don Milani

DonMilani26112013

Martedì 26 novembre giornata in ricordo della figura di Don Lorenzo Milani:
alle ore 16,30 intitolazione della scuola elementare di Largo Europa a Don Lorenzo Milani
alle ore ore 20,45 presso sala conferenze della CRBRA serata per conoscere meglio la figura, il pensiero e l’attualità di Don Lorenzo Milani

DonMilani

Chi era Don Milani?
Lorenzo Milani nasce a Firenze il 27 maggio 1923, in una famiglia intellettuale e borghese. La mamma è di origine ebraica. Battezzato nel 1930 “per necessità” (erano alle porte le persecuzioni razziali antisemite), dopo aver svolto in modo geniale, ma irregolare gli studi del Liceo Classico, si iscrive ai corsi di Belle Arti alla Brera di Milano. Affascinato dall’arte sacra, aiutato da don Bensi si converte e, alcuni mesi dopo aver ricevuto la Cresima, entra in Seminario di Firenze. Ordinato sacerdote viene inviato a San Donato di Cadenzano. Avvia in canonica una scuola serale aperta a tutti i giovani. Con la scuola, ma non soltanto con essa, in breve tempo si tira addosso prima la diffidenza, poi l’aperta ostilità dei benpensanti moderati e anche di alcuni preti della zona. Nel 1954 diventa priore di Barbiana dove l’anno successivo apre una scuola per ragazzi del popolo che hanno finito le elementari.
Nel maggio 1958 pubblica Esperienze Pastorali che pochi mesi dopo è ritirato dal commercio perché il Sant’Offizio lo ritiene “inopportuno”. Nel 1965 scrive una Lettera i cappellani militari difendendo l’obiezione di coscienza che quest’ultimi avevano disprezzato. Rinviato a giudizio per “apologia di reato” viene assolto in giudizio di primo grado, ma il 28/10/1968 la Corte d’Appello lo condanna. Don Lorenzo però era già morto da più di un anno: il 26 giugno 1967, sette anni dopo i primi skintomi del terribile male che l’aveva colpito: Sei settimane prima di morire gli riusci di vedere stampata l’ultima fatica della scuola di Barbiana: Lettera ad una professoressa, il libro scritto dai ragazzi sotto la sua regia “da povero vecchio moribondo”.

Una vita breve, ma intensa
Su Don Lorenzo Milani si è detto e scritto molto, si sono fatte molte opere teatrali e anche quattro film, però resta molto da scoprire, proprio sulle motivazioni delle sue scelte, radicali prima di tutto verso sé stesso. Non è possibile capire appieno Don Milani e i motivi delle sue scelte, se quando si avvicina a lui, non si tiene sempre presente che era un prete e un prete che aveva deciso di servire Dio nel modo più completo, dopo che da adulto si era convertito al cristianesimo. Tutto il suo operato successivo va ricondotto a questa scelta. Era di famiglia benestante e “borghese” ed era cresciuto in un mondo raffinato e colto. Entrato in seminario a 20 anni, i suoi pur restando sconcertati e soffrendo del “colpo di testa” di questo loro figlio che consideravano molto promettente, non lo ostacolarono. Sua madre, alla quale fu sempre molto legato, era ebrea. Cominciò energicamente ad una verifica della sua vita, i 20 anni precedenti lui li considerava “passati nelle tenebre” e da quel momento ogni suo atto cercava di renderlo coerente drasticamente con il Vangelo, senza mezze misure. Aveva lasciato gli agi e i privilegi del suo mondo per servire, stando dalla parte dei poveri, degli ultimi nella scala gerarchica, cercare di conoscerli da vicino, di viverci insieme, di imparare la loro lingua, insegnargliene un’altra, condividere le loro cause, difendere le loro ragioni. Negli anni ‘50 – ‘60 gli ultimi per lui erano i lavoratori, gli operai (molti provenivano dal sud e dalla montagna) e poi i contadini ed i montanari del Mugello, dove era stato mandato come sacerdote. Per lui, prete, l’ingiustizia sociale era un male e andava combattuto perché offendeva Dio. Subito inizio il suo operato a Calenzano (aveva 1300 abitanti, ora più di 16.000) con il solito “circolo ricreativo”, ma comprese fin da subito che proprio la mancanza di cultura era un ostacolo al capire quanto lui diceva sul Vangelo e all’elevazione sociale e civile del suo popolo. Così organizzò una scuola serale a Calenzano e poi, inviato a Barbiana, piccolissimo borgo situato in alta montagna, organizzò una scuola per i ragazzi di quella borgata e montagna. Per lui la scuola era il mezzo per colmare quel fossato culturale che gli impediva di essere capito quando predicava il Vangelo, lo strumento per dare la parola ai poveri perché diventassero più liberi e più uguali. Nella sua scuola raccolse giovani operai e contadini di ogni tendenza politica , presenza che mantenne ed ampliò perché dimostrò di servire la verità prima di ogni altra cosa: “vi prometto davanti a Dio che questa scuola la faccio unicamente per darvi una istruzione e che vi dirò sempre la verità di qualunque cosa, sia che serva alla mia “ditta” (Chiesa) sia che la disonori, perché la verità non ha parte, non esiste il monopolio …” disse ai suoi giovani uno dei primi giorni scuola a Calenzano. Una scuola dove l’impegno sindacale e quindi l’impegno sociale era considerato come un preciso dovere a cui un lavoratore cristiano non poteva sottrarsi. Era severo nei propri comportamenti e richiedeva ai giovani coerenza tra idee, parole e comportamento pratico, senza mai rinunciare alla gioia di dire la verità e di vivere senza nessun formalismo.Voleva che i suoi ragazzi possedessero la parola, quindi l’istruzione e la lingua per esprimersi, per difendere i valori, partendo dal riscatto delle proprie condizioni, attraverso l’impegno sociale ed, essendo lavoratori, l’impegno sindacale. La lingua, il possesso della lingua è un elemento fondamentale per arrivare all’eguaglianza fra gli uomini: “perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli” Liberamente tratto da uno scritto di Michele Gesualdi

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